I ricercatori di Cambridge hanno sviluppato un nuovo modo per misurare l’impatto delle emissioni illegali che stanno danneggiando lo strato di ozono. La ricerca fornisce una panoramica di quanto siano effettivamente efficaci gli attuali protocolli di protezione dello strato di ozono.
Il nuovo metodo, denominato metrica integrata di riduzione dell’ozono (IOD), utilizza tre fattori per valutare l’impatto delle nuove emissioni sullo strato di ozono: l’intensità di un’emissione, il tempo in cui rimarrà nell’atmosfera e la quantità di ozono che distruggerà chimicamente.
Questo sviluppo è significativo perché rappresenta un modo semplice e intuitivo per i decisori politici nei settori della tutela ambientale e della salute umana di calcolare l’impatto che qualsiasi scenario di emissione potrebbe avere sul recupero dell’ozono.
La metrica IOD è stata sviluppata utilizzando un modello computerizzato dell’atmosfera, denominato modello UK Chemistry and Aerosols (UKCA), inizialmente creato dal National Centre for Atmospheric Science e dal Met Office per effettuare ulteriori proiezioni sulle principali sostanze chimiche atmosferiche.
“Siamo ora in una nuova fase: la valutazione del recupero dello strato di ozono”
“Nel modello UKCA possiamo effettuare esperimenti con diversi tipi e concentrazioni di CFC (clorofluorocarburi) e altre sostanze che impoveriscono lo strato di ozono”, ha spiegato il coautore Dr Luke Abraham, ricercatore presso l’Università di Cambridge. “Possiamo stimare come cambieranno in futuro le sostanze chimiche nell’atmosfera e valutare il loro impatto sullo strato di ozono nel prossimo secolo”.
Lo strato di ozono, situato nella stratosfera terrestre, è una regione di gas ozono incolore che assorbe i dannosi raggi ultravioletti del sole, formando una barriera protettiva per la vita sottostante.
Nel 1985, gli scienziati scoprirono che questo strato era estremamente impoverito sopra l’Antartide, un problema ora descritto come “buco dell’ozono”. Successivamente si scoprì che ciò era causato dagli inquinanti CFC nell’atmosfera, il prodotto delle emissioni umane.
Per contrastare questo problema, nel 1987 la comunità internazionale ha deciso di eliminare gradualmente la produzione e il consumo di gas CFC adottando il Protocollo di Montreal, un trattato internazionale.
Questo protocollo ha avuto successo nel proteggere lo strato di ozono e nell’aiutarlo a riprendersi. Ma, come afferma il professor John Pyle, del Dipartimento di Chimica Yusuf Hamied di Cambridge, “siamo ora in una nuova fase: la valutazione del recupero dello strato di ozono”, che, a sua volta, “richiede nuove metriche”.
Sebbene non si parli molto dello strato di ozono in questi giorni, c’è ancora molto lavoro da fare: sia per riportarlo al suo stato originale, sia per proteggerlo. Questa ricerca avrà un ruolo significativo nel permettere che ciò accada.